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Una spiritualità minuscola

Le Scritture ci parlano di piccole «pentecosti» quotidiane, che non avvengono a Gerusalemme, ma tra mura domestiche mentre i giorni scorrono silenziosamente

“Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero” (I Re 19,12)

Che cosa hanno a che fare con lo Spirito quelle giornate partite male, disturbate da vicini rumorosi, innervosite dal traffico, a contatto con colleghi insopportabili e con familiari che – persino loro! – non ci capiscono? Siamo abituati a una spiritualità che parla il linguaggio solenne degli eventi unici; mentre per le eventualità riteniamo che sia più questione di casualità che non di Spirito. Diamo peso agli inizi, alle svolte; meno a ciò che segue, a quella zona incolore e insapore che pure riempie molto del nostro tempo. Ma la materia delle nostre vite è fatta anche (soprattutto?) di umori variabili e di situazioni fuori controllo, che dipendono da altro e altri, da circostanze che non avevamo messo in conto. Che ne facciamo di questa materia prima dell’esistenza? Perché, accanto ai tempi opportuni, che pure la vita ci riserva, ogni tanto (sovente!), ci sono i contrattempi. Insieme alle scelte consapevoli, fanno capolino incontrollabili stati d’animo, sbalzi d’umore, strani imprevisti. Per non parlare del nostro corpo, il cui stato di salute determina il clima del nostro sentire e agire. Tutto questo ha a che fare con lo Spirito? E come, dal momento che ne conosciamo solo i linguaggi forti, all’insegna dell’entusiasmo o della crisi? E’ possibile apprendere un lessico minuscolo della spiritualità, in chiave minore, in grado di interpretare un’espe- rienza di Dio più simile alla “voce di silenzio sottile” (1 Re 19, 11ss) percepita a fatica da Elia, che non “ai tuoni e lampi” del Sinai fumante (Es. 19, 16ss) su cui è salito Mosè? Che si possa sentire una piccola voce anche nel silenzio di giorni insignificanti, sembrerebbe il miracolo di quello Spirito che, come il vento, “soffia dove vuole” (Giov. 3, 8). Ma come udire quella voce? Questione cruciale, dal momento che noi, di solito, non la udiamo e ne decretiamo l’assenza. Voce sottotono, spiazzante i nostri desideri di suoni forti, dal timbro inconfondibile. Per noi, lo Spirito è quello di Pentecoste: se non capiamo nella nostra lingua l’annuncio delle meraviglie di Dio, allora vuol dire che lo Spirito non è all’opera. Eppure, le Scritture ci fanno intravvedere altri possibili percorsi: piccole pentecosti quotidiane, che non avvengono a Gerusalemme, nel giorno della solennità, ma tra mura domestiche, mentre le opere e i giorni scorrono silenziosamente. Come agisce lo Spirito, in questi differenti scenari

Forse, può aiutarci a scorgerne l’agire nascosto l’immagine dell’argine, primo gesto di quel Dio che, in principio, separa le acque di sopra da quelle di sotto e queste ultime dal terreno asciutto. Le acque, il mare, per quanti confessano che Dio è la Roccia, esprimono l’incontrollabile, il venir meno di un terreno solido sotto i piedi. Le esperienze negative sono parte della creazione “buona”: non sono tolte, ma vengono arginate. “Fin qui… e non oltre” (Gb. 38, 11). Si può fare esperienza dello Spirito non solo come di Colui che trasfigura la realtà, ma anche come un piccolo argine all’insignificanza e al negativo delle nostre esistenze. Non potrai eliminare quel mare di guai che, quasi ogni giorno, ti raggiunge; finché vivrai, sentirai le acque infrangersi sul tuo vissuto, perlopiù con la potenza sottotono della goccia che scava la roccia. Lo Spirito, tuttavia, ti potrà dare la forza di strappare dalla bocca del leone due zampe o un pezzo d’orecchio. (Am. 3, 12); di staccare, almeno per un attimo, da situazioni insopportabili, che polarizzano ossessivamente la tua mente; di ritagliarti un tempo in cui attendere e ascoltare una Parola altra che, almeno in quel momento, prova a farsi sentire al di sopra del clamore delle altre voci. Queste ultime riempiono drammaticamente il resto della scena. Ma ecco che, anche solo per un istante, vengono arginate. Puoi riprendere fiato e ritrovare quel briciolo di forze necessarie per “sperare contro speranza”, per fare esperienza dello Spirito che interrompe il consueto ordine del giorno.

O forse, può aiutarci a scorgere lo Spirito nel grigio quotidiano, l’immagine del mettere in ordine. Fa capolino nel discorso che Dio fa a Giobbe, dove si profila l’azione della massaia che, per riordinare la casa, al mattino, scuote le briciole accumulate il giorno prima sulla tovaglia (Gb. 38, 12s). La vita mette sottosopra i nostri progetti e noi fatichiamo a scorgervi un senso. Di nuovo, lo Spirito di Dio non elimina alla radice il disordine ma si assume l’umile onere del riordino. Non senza aver prima ridimensionato quel negativo – briciole, polvere – che, sebbene reale, tendiamo a ingigantire. L’operazione non è mai conclusa, occorre rifarla ogni mattina. Lo Spirito ci insegna a guardare alla tovaglia sporca non con orrore, lasciando l’ultima parola alla delusione della sconfitta, ma con l’ostinata sapienza del sistemare una stanza per volta. Almeno provarci, con la tenacia di chi non si arrende al disordine

Infine, proprio la pagina di Giobbe sopra ricordata, ci suggerisce che lo Spirito… fa dello spirito! Ovvero, che la sua voce di silenzio sottile risuona come voce ironica, che ridimensiona le nostre pretese di avere tutto sotto controllo. Il mistero della vita ci sfugge. Il che non ci esime dal provare a decifrarlo. Ma nello stesso tempo lo Spirito suscita in noi quel prezioso anticorpo alla presunzione che è l’autoironia, il non prenderci sempre troppo sul serio. Non siamo noi i salvatori del mondo. Se, per caso, ce lo fossimo scordato, la vita, con tutti i suoi guai e contrattempi, ce lo ricorda. Forse, quello Spirito che fa memoria di tutto quello che Gesù ci ha detto (Giov. 14, 26), ci ricorda anche tutto quello che la vita ci dice. Senza alcuna rimozione. Con una sapienza che sfida l’insignificanza.

Angelo Reginato

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